Ci sono luoghi dove accadono strani avvenimenti. Dove si sussurra di riti magici compiuti dopo il tramonto dalle streghe radunate in congrega sabbatica. O dove misteriosi affreschi adornano piccole chiese immerse nel verde.
Uno di questi luoghi si stende, senza alcun dubbio, tra i boschi e le colline che circondano la chiesa di San Tommaso a Briga Novarese. Un edificio sacro assolutamente da visitare. Tanto è vero che persino i giapponesi l’hanno scoperta e sempre più numerosi si recano a fotografarne gli antichi affreschi.
Ma non è della chiesa che voglio parlarvi, né tanto meno delle streghe che si trovavano lì vicino, in un luogo noto da tempo immemorabile come “prato dei morti”, forse per via di un antico cimitero pagano i cui resti ogni tanto riemergono in occasione di qualche nuova costruzione.
Il protagonista di questa storia è un cacciatore, che un giorno si mise il fucile in spalla e andò in cerca di selvaggina. Non vi andò direttamente, peraltro, perché una tappa alle osterie del paese era una prassi cui il Nostro non rinunciava mai.
Un bianchino per svegliarsi, un grappino per scaldarsi, un caffè corretto alla sambuca erano proprio quello che ci voleva per affrontare il freddo di quella mattina. Qualcuno sostiene che il bianchino non fosse solo, così come i rinforzi arrivati dopo, ma si sa come vanno queste cose nei paesi: c’è sempre qualcuno che tende ad esagerare le cose.
Ad ogni buon conto il cacciatore era entrato nel bosco, col passo più fermo che avesse, ben deciso a non tornare a casa a mani vuote. All’improvviso davanti a lui comparve, emerso da chissà dove, un leprotto che si fermò esitante proprio in mezzo alla strada. Il cacciatore mise mano al fucile, ma mentre prendeva la mira il leprotto parlò.
Ora, qualsiasi persona sana di mente sa che ai leprotti non è stato dato il dono della parola. Questo è probabilmente un bene, perché chissà quante ce ne direbbero se solo potessero parlare o se solo noi fossimo in grado di capirli. In ogni caso non dimenticate che questa storia si svolge in un luogo magico, dove la stregoneria può diventare cosa molto concreta.
Ad ogni modo il leprotto, in tono molto educato, disse queste testuali parole.
“Ti prego, nobile signore, non farmi del male. Lasciami andare per la mia strada.”
Il cacciatore trasecolò e abbassò l’arma, sentendosi mancare le gambe. Il leprotto interpretò quel gesto come una risposta affermativa e attraversò il viottolo sparendo nel fitto sottobosco.
L’uomo, appoggiato a una pianta per non cadere, mise subito mano alla fiaschetta che teneva sempre nella tasca destra, per bere una boccata di cordiale. Proprio mentre si stava pulendo la bocca con il dorso della mano, ecco che un secondo leprotto si fermò davanti a lui.
Chiunque avrebbe capito subito, da una prima occhiata, che era di una pasta ben diversa da quello che l’aveva preceduto. Aveva l’espressione sfrontata di quei monelli che si divertono a razziare ogni genere di frutto nei campi coltivati, facendosi beffe dei poveri contadini che li inseguono col rastrello senza mai riuscire ad acchiapparli.
Il leprotto si piantò davanti all’uomo e lo guardò inclinando la testa. Se avesse avuto le mani le avrebbe certamente messe sui fianchi.
“Ora che hai fatto passare quello” disse “non vorrai mica sparare a me, vero?”
E prima che il cacciatore potesse chiudere la mascella, lo sfrontato leprotto sbuffò, come facendo spallucce, e sparì sotto il fogliame.
Ringrazio l’amico Fabio per averci raccontato questa storia.